
Simbiosi
e distacco.
La
studiosa ha ricordato che due sono le irrinunciabili funzioni
materne. La prima è la simbiosi con il figlio. Simbiosi legata alla
gravidanza e ai primi tempi di vita del neonato dopo il parto, dalla
quale il bambino tenta di emanciparsi di solito molto presto, verso i
sei mesi, con le prime esplorazioni che si esprimono attraverso la
voce e la “lallazione”. Con la lallazione il bambino inizia a
“cantare” la lingua che poi parlerà. “La voce – ha
sottolineato Pigozzi, che oltre ad essere psicoanalista è anche
insegnante di canto – ha un suo registro tonale specifico, unico:
rappresenta il primo gioco creativo del bambino”. È
a questo punto – ha spiegato – che subentra il problema
dell’allattamento. “Appena il bambino dice ‘a’, tu
allattalo”, si sentono dire le madri. Ne deriva un “allattamento
on demand” – ha proseguito –, che impedisce al bambino di
emettere suoni, blocca la sua lallazione e con essa l’espressione
di un individuo distinto, altro, da lei. L’allattamento soffoca sul
nascere la seconda e fondamentale funzione materna, che consiste nel
suo assecondare il distacco e la progressiva autonomia del bambino da
se stessa. “La prima, vera separazione che deve avvenire è quella
della madre dal figlio”, ha precisato Pigozzi. “Se una madre non
desidera separarsi dal proprio figlio neppure lui si staccherà più
da lei”. E non ci riuscirà neanche il padre, figura che
all’interno della famiglia è evaporata, privata del suo ruolo.
Una gioia mortifera.
La
“madre che verrà” – ha aggiunto la psicoanalista – è invece
la donna che vuole staccarsi, la donna che non si chiude nella
“caverna” della simbiosi con il figlio allontanando lei è il
bambino dal mondo. “La madre che verrà” è una donna che non
rinuncia per il proprio bambino ai propri desideri e interessi
(personali, professionali) diversi dal rapporto totalizzante ed
esclusivo con lui. La madre che vuole dormire col proprio figlio –
ha osservato Pigozzi – prova, certo, una gioia mai conosciuta. Si
tratta però di una gioia mortifera che, se non finisce presto,
trascina in un abisso. La società – ha detto la studiosa – oggi vuole che le madri si sentano rassicurate rimanendo incollate ai figli il più a lungo possibile. Ma se la madre gli è sempre addosso, il bambino è ipnotizzato da lei come l’alcolista dalla sua bottiglia: non penserà, non creerà più, non proverà angoscia. Ma solo l’angoscia è il sentimento che, affrontato e trasformato, permette di crescere e di creare. La dipendenza del bambino dalla madre genera un’adolescenza lunghissima. Ciò accade quando la donna evapora a favore della madre.
La scuola può salvare il
bambino.
Cosa
salva il bambino da questo legame mortifero con la madre? Non il
padre – ha risposto Pigozzi –, allontanato dalla sua funzione ed
evaporato a causa del Plusmaterno. Perché nella madre non c’è più
la donna, e lui non può ragionevolmente contestare un legame (in
apparenza) d’amore come quello che ha lei con il figlio. La psicoanalista ha sottolineato il fatto che scuola per i bambini è l’unica ancora di salvezza. Ma se anche la scuola si allea al Plusmaterno rinnega la propria ragion d’essere, non è più un soggetto terzo il cui compito è quello di staccare la donna dal bambino. Vi sono madri gelose delle educatrici del nido e delle insegnanti. E madri che mostrano felici di saper allattare un figlio per anni.
Un amore chiuso,
antisociale. La madre che verrà e il desiderio che apre.
Importante
per la studiosa è smettere di credere anche a un’altra teoria
rassicurante: che i bambini non abbiano sessualità. Il bambino è un
nodo pulsionale da rispettare. La sua sessualità viene accesa dal
comportamento della madre in particolare. Il Plusmaterno è alla
radice dell’impotenza di tanti ragazzi e della frigidità di tante
ragazze. Continuare – come oggi accade – a rassicurare la madre del fatto che lei è amata dal figlio (uno dei libri di Pigozzi s’intitola “Mio figlio mi adora”), è un delirio collettivo, perché spinge alla segregazione che espelle dalla famiglia il sociale. È un “movimento” antisociale che toglie il futuro alla donna e al figlio. Un amore perverso, chiuso, che si tramuta in odio.
“La madre che verrà” – ha ribadito concluso Pigozzi – è invece una donna che mostra al proprio bambino o alla propria bambina di saper tornare al proprio lavoro, di aver un desiderio. E in questo modo gli testimonia che vale la pena vivere, che si può guardare altrove, che davanti a lei c’è una finestra anziché uno specchio.
La studiosa ha infine risposto a numerose domande che il pubblico in sala le ha rivolto.
Chi è Laura Pigozzi
Laura
Pigozzi, che lavora a Milano e vive a Pesina (Verona), studia i
problemi delle famiglie e in particolare del “femminile” alla
luce della pratica e della teoria analitica. I suoi libri più
conosciuti sono “Mio figlio mi adora. Figli in ostaggio e genitori
modello” (vincitore del primo premio internazionale “Città delle
Rose 2017”, uscito nel 2018 in Francia per Érès e in Brasile per
Buzz Editora), “Voci smarrite” (2013), “A Nuda Voce” (2008,
ampliato nel 2017), “Chi è la più cattiva del reame?” (2012,
tradotto in Francia da Albin Michel nel 2016).
Il suo prossimo lavoro sta per uscire il suo ultimo lavoro,
“Adolescenza zero” (edizioni Nottetempo). È
membro della Fondation Européenne pour la Psychanalyse, già
vicepresidente di Lou Salomé-Donne psicanaliste in rete. Cura il
blog Rapsodia (www.rapsodia-net.info)
e ha fondato il Non Coro, laboratorio stabile di sperimentazione e
creatività vocale. È nel comitato scientifico e docente della
Società Italiana di Musicoterapia Psicoanalitica.